Le obbligazioni [La guida definitiva]

obbligazioni

Venerdi 10 marzo è fallita la Silicon Valley Bank (SVB), una delle prime 20 banche americane con depositi per oltre 170 mld. $.

I clienti della SVB non erano piccoli risparmiatori ma prevalentemente imprese start-up, ventur capitalists e robe del genere. Quindi non è un crack che colpisce direttamente la clientela retail, i comuni risparmiatori come me e te per intenderci. Pertanto, esula un po’ dagli argomenti che solitamente tratto nel blog.

Tuttavia, quello che mi spinge a dare risalto a questo fallimento è che esso è scaturito, in larga misura, da investimenti sbagliati da parte di SVB. Ma non gli investimenti più stravaganti ed esotici che potresti immaginare: criptovlute, rischiosissime azioni tech, edge funds o cose del genere. No, per nulla.

Gli investimenti sbagliati della SVB che l’hanno condotta al fallimento erano delle banalissime e “sicurissime” obbligazioni degli Stati Uniti d’America!

Si, proprio così. Le obbligazioni più sicure al mondo, quelle dello Stato più potente sulla faccia della terra. Lo stato che emette a suo piacimento e controlla il dollaro, la valuta di riferimento dell’intero pianeta.

Investimenti nelle obbligazioni più sicure al mondo hanno portato al fallimento un colosso bancario. Sembra un paradosso ma è così. Purtroppo è proprio così.

Ecco perché ho deciso di scrivere questo post sulle obbligazioni, sul loro funzionamento e sulle trappole nascoste. Per farti comprendere che quest’asset class, considerata da tutti la più sicura, può diventare, invece, la tua peggior nemica se non la conosci bene. Ma, come vedi, anche se la conosci bene ma la inserisci in maniera sbagliata nella tua asset allocation o se ti fai prendere troppo la mano dai tassi di interesse finalmente elevati, può costarti davvero molto cara.

Com’è costata cara ad un colosso bancario che non avresti mai detto non potesse conoscere questo strumento tanto utile quanto rischioso.

Cosa sono le obbligazioni

Le obbligazioni rappresentano una quota di debito emesso da una società (o da uno Stato).

A differenza delle azioni ordinarie che costituiscono quote del capitale di una società, le obbligazioni rappresentano un debito della società verso l’obbligazionista.

Se l’azionista è proprietario di un pezzettino di azienda, l’obbligazionista è un creditore della società e riceve come remunerazione sul capitale investito una cedola di interesse con un tasso solitamente fisso per tutta la durata dell’obbligazione.

E’ molto semplice stabilire il rendimento dell’obbligazione, dato dalla somma di tutte le cedole che l’obbligazione pagherà al suo possessore per tutta la sua durata.

Se il prezzo pagato per acquistare l’obbligazione è di 1.000€ e annualmente l’obbligazione paga cedole per 30€, il rendimento annuo dell’obbligazione sarà del 3%. Ovviamente solo se l’obbligazione viene detenuta fino alla sua naturale scadenza, quando verrà rimborsata al suo valore nominale.

I rischi delle obbligazioni

Le obbligazioni, come qualsiasi altra asset class, non sono immuni da rischi. Ed è bene che comprendi molto bene questo punto. Per non cadere nell’equivoco molto comune che obbligazione sia sinonimo di rischio basso o addirittura inesistente o che le obbligazioni siano più sicure delle azioni.

Le cose non stanno affatto così. E andiamo anche a vedere il perché.

Il rischio di credito

L’obbligazione è emessa da un soggetto che può essere una società o uno Stato (emittente). Nel primo caso si parla di obbligazioni societarie o Corporate Bond e nel secondo caso si parla di obbligazioni governative o Government Bond.

Essendo l’obbligazionista un creditore, il rischio più immediato che si accolla è il rischio di credito. Ovvero, quello che l’emittente non rimborsi in tutto o in parte il suo debito. In questo caso l’obbligazionista potrebbe perdere tutto o parte del suo capitale.

Ma il rischio di credito è anche quello che l’emittente non paghi, o paghi solo in parte, le cedole di interessi. Ovviamente, in questo caso l’obbligazionista probabilmente non perderà il suo capitale ma avrà un rendimento evidentemente più basso rispetto a quello previsto.

Finché l’emittente è una società solida e con una lunga storia alle spalle il rischio di credito per l’obbligazionista è minimo. Anche se non sarà mai pari a zero.

Stesso discorso se l’emittente è uno Stato forte e solido. USA, Germania, Svizzera, per fare degli esempi, sono degli stati virtuosi le cui obbligazioni sono tra le più sicure al mondo. Difficilmente un obbligazionista registrerà una perdita in conto capitale su obbligazioni emesse da questi governi.

Viceversa, ci sono società e stati meno solidi le cui obbligazioni hanno un rischio di credito evidentemente più elevato.

Per conoscere quello che è il rischio di credito di un’obbligazione, puoi verificare il rating dell’emittente (stati o società private) che viene fornito da diverse società specializzate (agenzie di rating) ad intervalli di tempo regolari. Il rating è, dunque, un indice che sintetizza in un unico giudizio diversi parametri di solidità finanziaria e patrimoniale dell’emittente.

Tuttavia, sebbene il rischio di credito sia il più evidente al piccolo risparmiatore, ce n’è un altro molto più grosso in agguato ma molto più subdolo.

Ed è il rischio di tasso di interesse.

Il rischio di tasso di interesse

Rispetto al rischio di credito, il rischio di tasso di interesse è scarsamente percepito, soprattutto dai piccoli risparmiatori. E questo per un unico motivo: la scarsa alfabetizzazione finanziaria che rende i risparmiatori inconsapevoli del rischio cui vanno incontro acquistando un’obbligazione.

Se, infatti, il piccolo risparmiatore comprende più facilmente quelli che sono i rischi delle azioni, anche se sostanzialmente per i motivi sbagliati, non comprende appieno i rischi insiti nelle obbligazioni, in particolare il rischio dovuto all’andamento dei tassi di interesse.

Per farti capire in cosa consiste questo rischio hai bisogno prima di capire come si muovono i prezzi delle obbligazioni.

Il prezzo delle obbligazioni

Se il prezzo delle azioni nel breve termine fluttua solo e soltanto in base alle aspettative sugli utili futuri, quello delle obbligazioni fluttua per un altro motivo. Le aspettative sui futuri tassi di interesse, ai quali il prezzo è legato in via primaria.

Come abbiamo visto in precedenza, se l’obbligazione viene detenuta fino alla scadenza, cioè fino alla data in cui verrà rimborsata dall’emittente, il possessore riceverà tutto il flusso di interessi periodici (cedole) più il valore nominale dell’obbligazione.

Viceversa, se il possessore volesse vendere l’obbligazione prima della sua naturale scadenza, dovrà fare i conti con il livello dei tassi di interesse in quel momento e con le aspettative sul loro andamento futuro. Questo inciderà in maniera determinante sul prezzo di vendita della sua obbligazione.

Supponiamo che tu voglia vendere un’obbligazione con scadenza residua a 10 anni che paga cedole con un tasso di interesse dell’1,5%. E supponiamo che tu voglia venderla in un momento in cui i tassi di interesse siano in crescita, proprio come sta accadendo da circa un anno a questa parte.

Chi acquisterà la tua obbligazione riceverà cedole calcolate ad un tasso di interesse più basso di quello che potrebbe ricevere acquistando un’obbligazione con scadenza sempre a 10 anni ma di nuova emissione, diciamo il 4%. Perché ora i tassi sono più alti rispetto a quando la vecchia obbligazione è stata emessa.

Di conseguenza l’ipotetico acquirente troverebbe più conveniente acquistare un’obbligazione di nuova emissione, piuttosto che la tua. Gli garantirebbe un tasso del 4% anziché dell’1,5% e, quindi, un rendimento molto superiore. Pertanto, affinché la tua obbligazione sia competitiva con una di nuova emissione con un tasso più elevato, il prezzo di vendita della tua obbligazione dovrà scendere, proprio per compensare il più basso tasso di interesse che l’acquirente percepirà fino alla sua scadenza.

Di conseguenza, il prezzo della tua obbligazione calerà fino a che il suo rendimento eguaglierà quello di una obbligazione di nuova emissione che paga un tasso più alto.

L’inverso accadrebbe se i tassi e le aspettative sul loro andamento futuro fossero in calo. In quel caso la tua obbligazione pagherà un tasso di interesse più alto rispetto ad una di nuova emissione. Di conseguenza, il prezzo della tua obbligazione salirebbe fino al punto da compensare totalmente il rendimento più basso di una obbligazione di nuova emissione.

Ecco perché dovresti stamparti bene in mente che quando i tassi di interesse salgono i prezzi delle obbligazioni scendono. Proprio per compensare i rendimenti più alti che danno le obbligazioni di nuova emissione che pagano tassi di interesse più alti.

Quando, invece, i tassi di interesse scendono i prezzi delle obbligazioni salgono sempre per compensare i rendimenti più bassi che hanno le obbligazioni di nuova emissione con tassi di interesse più bassi.

Tuttavia, l’ampiezza delle fluttuazioni del prezzo delle obbligazioni a seguito dell’andamento dei tassi di interesse non è uguale per tutte le obbligazioni.

Dipende, infatti, dalla durata residua dell’obbligazione.

Durata residua dell’obbligazione

Il rischio di tasso di interesse ha un impatto diverso a seconda di quella che è la durata residua dell’obbligazione.

Se la durata residua dell’obbligazione è breve (diciamo sotto ai tre anni) il rischio di un aumento dei tassi di interesse è molto più contenuto rispetto al rischio che sconta un’obbligazione con durata residua più lunga, superiore ai dieci anni ad esempio.

Il perché è anche piuttosto semplice da capire.

Un’obbligazione con una durata residua corta, arriverà a scadenza e verrà rimborsata entro un breve lasso di tempo, e il capitale potrà, quindi, essere reimpiegato per l’acquisto di nuove obbligazioni a tassi più alti.

Se l’obbligazione ha, invece, una durata residua di oltre 10 anni, un eventuale aumento del tasso di interesse sarebbe molto più pesante. Infatti, l’obbligazionista sarebbe costretto a percepire cedole con un tasso di interesse più basso per un arco di tempo molto più lungo.

Ecco perché l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse sulle obbligazioni a lunga scadenza può essere devastante, proprio come è avvenuto da inizio 2022. Infatti, a seguito dell’aumento dei tassi di interesse dovuti alle politiche monetarie restrittive adottate delle banche centrali per contrastare l’alto tasso di inflazione, i prezzi delle obbligazioni sono crollati. Soprattutto quelli con scadenze più lunghe che sono sotto del 20 e anche del 30% rispetto ai massimi.

Di conseguenza chi aveva obbligazioni in portafoglio sta scontando perdite via via più pesanti quanto più lunga era la durata residua delle obbligazioni. Anche chi aveva obbligazioni dal rischio di credito pressoché nullo come quelle statunitensi.

Quello che è successo proprio a SVB di cui ti parlavo all’inizio del post, che aveva in portafoglio obbligazioni “sicurissime” emesse dagli Stati Uniti d’America ma con scadenze lunghe. Pertanto, ha scontato perdite sul capitale investito anche del 30% che gli hanno precluso di recuperare la liquidità necessaria nel momento in cui i suoi clienti hanno chiesto di prelevare i fondi depositati.

Il rischio di interesse condito con durate residue dell’obbligazione lunghe costituisce un cocktail estremamente rischioso. Molto più rischioso della normale volatilità di breve termine cui sono esposti gli azionisti nel mercato azionario.

E questo anche per obbligazioni che hanno un rischio di credito praticamente nullo come quelle emesse dagli Stati Uniti d’America. Infatti, un basso rischio di credito non vuol dire che l’obbligazione sconti anche un basso rischio di tasso di interesse. Sono due tipologie di rischio completamente differenti e legate a cause totalmente indipendenti l’una dall’altra. Il rischio di credito è legato alla solvibilità dell’emittente mentre il rischio di tasso di interesse è legato all’andamento di questi ultimi che dipendono, a loro volta, dai fattori più disparati (inflazione, politica monetaria, andamento generale dell’economia, ecc.)

Il rischio di inflazione

Esiste un ulteriore rischio cui vanno incontro gli obbligazionisti. Ed è il rischio inflazione.

Le obbligazioni, infatti, vengono rimborsate al loro valore nominale. Supponi che tu abbia acquistato un’obbligazione decennale emessa al valore nominale di 1.000€ che porti regolarmente a scadenza. Alla scadenza, l’emittente ti rimborserà 1.000€ nominali. Ma se il denaro nel frattempo ha perso potere d’acquisto per via dell’inflazione, anche la tua obbligazione avrà perso valore. Non dal punto di vista nominale, in quanto ti verrà rimborsato sempre il capitale di 1.000€ che hai pagato per l’acquisto. Ma in termini reali, ovvero in termini di beni realmente acquistabili con quel denaro.

Difatti, con i 1.000€ rimborsati dall’emittente acquisterai molti meno beni rispetto a quelli che con 1.000€ acquistavi 10 anni prima. Anche solo un 2% annuo di inflazione ti farà perdere oltre il 20% di potere d’acquisto in 10 anni. I tuoi 1.000€ acquisteranno una quantità di beni che 10 anni prima acquistavi con meno di 800€.

Come per il rischio di tasso di interesse, anche il rischio inflazione è tanto più alto quanto più lunga è la scadenza residua dell’obbligazione.

Certo, in periodi deflattivi, cioè quando il denaro acquista valore per via di una riduzione dei prezzi, il rischio inflazione si trasforma in opportunità. Ma è un caso estremamente raro e limitato solo a brevi periodi di tempo.

Rischio di cambio

Un’ultima tipologia di rischio cui va incontro l’obbligazionista è legata al tasso di cambio della valuta in cui è emessa l’obbligazione.

Supponi di aver acquistato 1.000$ di obbligazioni USA al cambio di 1€ = 1$, quindi pagandola 1.000€. Se l’euro si apprezza sul dollaro, ad esempio il cambio passa a 1€ = 1,20$ la tua obbligazione non vale più 1.000€ ma vale 833€. Infatti, per effetto della svalutazione del dollaro contro l’euro, con 1$ non acquisterai più 1€ ma acquisterai 0,833€.

Il contrario avviene nel caso di deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro.

Pertanto, corri il rischio di registrare una perdita se volessi vendere l’obbligazione quando il cambio è sfavorevole. E questo senza che ci siano state variazioni nei tassi di interesse e anche in assenza di inflazione.

Ovviamente il rischio cambio non esiste per obbligazioni emesse nella stessa valuta con cui l’obbligazionista spende il suo denaro. Come per noi europei nel caso di obbligazioni emesse in euro.

Come proteggersi dai rischi delle obbligazioni

Ora dovrebbe esserti sufficientemente chiaro come le obbligazioni possano trasformarsi da strumento a basso rischio in strumento ad altissimo rischio con l’allungarsi della scadenza residua e con il deteriorarsi del rating creditizio dell’emittente.

Ma gli strumenti per proteggersi dai rischi obbligazionari esistono. Basta capire da dove possono arrivare questi rischi e perché, ed agire di conseguenza.

Limitare il rischio di credito

Per ridurre fin quasi ad azzerare il rischio di credito è sufficiente acquistare obbligazioni tramite ETF indicizzati e ben diversificati di emittenti ad alto rating.

Acquistando ad esempio Corporate Bond sotto forma di ETF è come acquistare obbligazioni di centinaia, se non addirittura migliaia, di società tutte insieme. Anche se una, due, tre o dieci di queste società non dovessero rimborsare il capitale finale, tu non te ne accorgeresti nemmeno. Se, infatti, hai acquistato 10.000€ di obbligazioni tramite un ETF formato da obbligazioni di 1.000 società diverse, è come se tu avessi acquistato 10€ di obbligazioni di ognuna.

Se una di queste società non rimborsasse il capitale a scadenza tu avresti perso 10€ a fronte dei 10.000€ investiti. Lo 0,1%. Nulla, praticamente, rispetto al caso ben peggiore in cui investissi tutto il tuo capitale in una sola emissione obbligazionaria di una sola società e, sfortunatamente, questa non rimborsasse il suo debito.

Limitare il rischio di tasso di interesse

Ridurre il rischio di tasso di interesse è faccenda ben più complicata.

Non avendo nessun controllo sui tassi di interesse, dovresti fare in modo di investire in obbligazioni a durata residua medio/bassa.

Sfruttando sempre gli ETF, potresti orientarti verso obbligazioni che hanno duration (chiamiamola per semplicità durata anche se non è proprio corretto) non superiore a 5/7 anni.

Ciò non vuol dire che devi stare lontano da obbligazioni (o meglio ETF obbligazionari) con duration superiore a 7 anni. Vuol dire solo che devi essere consapevole che quanto più si allunga la duration di un’obbligazione tanto più alto è il rischio di perdite nel caso di aumento dei tassi di interesse.

Dovresti fare in modo che la duration delle obbligazioni che inserisci nei tuoi portafogli non sia mai superiore all’orizzonte temporale dei relativi obiettivi.

Se, ad esempio, vuoi inserire obbligazioni nei tuoi portafogli destinati ad obiettivi di breve termine (entro 3 anni) dovresti fare in modo che le duration degli ETF obbligazionari non siano superiori a 3 anni. Se invece vuoi inserire obbligazioni in portafogli costruiti per obiettivi di lungo termine (diciamo per la pensione, con un orizzonte temporale di 20 anni) dovresti fare in modo che la duration degli ETF obbligazionari non sia superiore a 15/20 anni.

Anche se, in quest’ultimo caso, dovresti cercare di ridurre gradualmente la duration man mano che l’orizzonte temporale dell’obiettivo si accorcia e quindi l’obiettivo si avvicina. Cosa non sempre comoda ed efficiente da fare. Ecco perché il consiglio, anche in caso di obiettivi di lungo termine, è di non superare mai per le obbligazioni duration di 5/7 anni.

Limitare il rischio inflazione

Proteggersi dal rischio inflazione non è semplice perché in ogni caso l’inflazione è un parametro fuori dal tuo controllo.

Tuttavia, esistono delle particolari emissioni obbligazionarie nell’ambito dei Government Bond che sono indicizzate all’inflazione.

In questo tipo di obbligazioni indicizzate, sia la cedola sia il rimborso del capitale seguono l’andamento dell’inflazione e pertanto, il tasso di interesse dell’obbligazione è reale e non nominale. Se l’inflazione registra un aumento la cedola verrà, di conseguenza, adeguata. Stessa cosa accade al capitale rimborsato a scadenza che verrà adeguato all’inflazione registrata durante tutta la durata dell’obbligazione.

Il problema con questo tipo di obbligazioni si verifica in periodi di inflazione negativa, ovvero di deflazione. In questo caso la cedola si riduce perché viene adeguata al tasso di inflazione negativo. Il rendimento reale resta sempre quello previsto, ma in caso di deflazione è più conveniente possedere un’obbligazione tradizionale che mantiene il pagamento della cedola costante.

Questo tipo di rischio puoi tenerlo sotto controllo anche scegliendo ETF obbligazionari con duration basse. In questo modo la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione sarebbe comunque minima.

Limitare il rischio di cambio

Per limitare il rischio di cambio esistono ETF con copertura valutaria (cosiddetti Hedged).

Il problema è che sono evidentemente più costosi e spesso meno efficienti rispetto agli omologhi ETF senza copertura, soprattutto quando le variazioni dei tassi di cambio sono repentine.

In ogni caso, se l’investimento è per il breve periodo il consiglio è di non investire proprio in obbligazioni in valuta. Se, invece, l’investimento è per il medio/lungo periodo, il rischio di cambio si riduce notevolmente soprattutto se l’investimento avviene tramite un PAC e, quindi, non tutto in una volta. In questo caso i tassi di cambio vengono mediati e nel lungo periodo tendono a bilanciarsi.

Conclusioni

Sintetizzando tutti i discorsi fatti finora, le obbligazioni non sono affatto sicure come spesso sento dire in giro e come spesso credono, sbagliando, i risparmiatori.

Il rischio delle obbligazioni c’è e si articola su 4 livelli differenti:

  1. Rischio di credito
  2. Rischio di tasso di interesse
  3. Rischio inflazione
  4. Rischio di cambio

Il primo tipo di rischio puoi sostanzialmente annullarlo evitando del tutto l’acquisto di obbligazioni di singole società e scegliendo solo ETF obbligazionari indicizzati e ben diversificati, fermo restando che l’investimento tramite ETF dovrebbe costituire sempre la regola.

Il rischio di tasso di interesse puoi tenerlo sotto controllo e gestirlo cercando di inserire nei tuoi portafogli ETF obbligazionari con duration non superiore all’orizzonte temporale del relativo obiettivo. E comunque mantenendo le duration sempre sotto i 5/7 anni.

Il terzo tipo di rischio, quello di inflazione, puoi tenerlo sotto controllo privilegiando gli ETF obbligazionari indicizzati all’inflazione o con duration sotto i 7 anni.

L’ultima tipologia di rischio, quello di cambio, puoi gestirla o con ETF obbligazionari a copertura valutaria o distribuendo gli acquisti su un periodo di tempo più ampio attraverso un PAC.

Volendo sintetizzare tutto, quanto più è alto il rating degli emittenti e quanto più corta è la scadenza residua delle obbligazioni (duration) tanto più bassi sono i rischi connessi alla detenzione delle obbligazioni.

Praticamente, emissioni obbligazionarie governative a rating medio/alto (superiore a BBB per intenderci) con duration inferiori all’anno sono nella sostanza assimilabili al denaro contante.

Quanto più ci si sposta su obbligazioni di emittenti meno affidabili, quindi con rating più basso, e quanto più lunga diventa la scadenza residua dell’obbligazione, tanto più i rischi aumentano. E pure velocemente.

Ovviamente, quanto più bassi sono i rischi tanto minori saranno i rendimenti. Questa regola vale sempre e comunque nel mondo degli investimenti ed è bene ricordarsela. Tuttavia, dal momento che i rendimenti sono fuori dal tuo controllo ma puoi controllare i rischi, allora modulando questi ultimi potrai anche verosimilmente attenderti determinati rendimenti nel lungo termine.

Spero di aver fatto chiarezza su un’asset class molto particolare che può risultare fondamentale per il tuo portafoglio ma che devi stare attento a non trasformarla nel tuo peggiore incubo.

Grazie per avermi letto e ti aspetto al prossimo articolo!

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