Bitcoin oro digitale: possibilità o fantasia?

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Da quando il bitcoin è stato creato nel 2009, ho sempre sentito parlare di bitcoin come oro digitale. E in questo post voglio analizzare le caratteristiche di entrambi per arrivare ad una conclusione definitiva.

Ma andiamo per gradi.

Chi mi segue conosce perfettamente la mia opinione su bitcoin e oro per quanto riguarda l’investimento.

Per quella che ritengo sia la corretta definizione di investimento (leggi qui, qui e qui), bitcoin ed oro non possono essere considerati investimenti. Non ne possiedono le caratteristiche di base per esserlo.

Un investimento, per essere considerato tale, deve necessariamente garantire, tra le altre cose, dei flussi di entrate sottostanti in termini di dividendi, cedole di interesse, affitti e via di seguito.

Se un bene, sia esso materiale o immateriale, non garantisce questo flusso di entrate, ritengo non possa essere in alcun modo considerato un investimento.

Considero questi beni come speculativi, ovvero che non generano flussi di reddito diretti come dividendi o interessi, e che per garantire un rendimento necessitano di essere venduti ad un prezzo superiore a quello pagato per il loro acquisto.

Bitcoin ed oro, come anche tutte le materie prime del resto, rientrano perfettamente nella definizione di beni speculativi.

Ciò detto, bitcoin ed oro sono banditi dai nostri portafogli? Assolutamente no. Perché possono sicuramente svolgere, in piccole quantità, un’azione stabilizzatrice dei portafogli stessi.

Fatta chiarezza da questo punto di vista, andiamo dritti al cuore dell’argomento del post, ossia capire se il bitcoin possa diventare davvero una versione digitale dell’oro fisico.

Ma per farlo dobbiamo scavare più in profondità nelle caratteristiche di entrambi.

Le caratteristiche dell’oro

Sei sempre cresciuto con la convinzione che l’oro fosse prezioso e rappresentasse il concetto di ricchezza per antonomasia. Ma hai mai provato a chiederti da dove derivi effettivamente questa convinzione e perché l’oro è davvero così prezioso?

La storia dell’oro è antichissima e le prime estrazioni risalgono addirittura a 6.000 anni fa. Da allora è stato utilizzato per impieghi artigianali e industriali, come ornamento, come bene di scambio e come riserva di valore.

L’oro, a differenza di tutti gli altri materiali presenti sulla terra, ha un aspetto naturale unico e inimitabile. Per di più luccica e questo lo rende da sempre molto apprezzato dagli esseri umani.

Infatti, pur essendo utilizzato in diversi settori come l’elettronica e l’odontoiatria, l’utilizzo principale dell’oro avviene in gioielleria (circa il 50%) e come bene d’investimento (circa il 20%).

Ma perché proprio l’oro ha assunto questa caratteristica di preziosità e di ricercatezza che invece non hanno altri metalli o altri beni più in generale?

Per tre proprietà fondamentali che solo l’oro possiede.

Scarsità

L’oro è un elemento particolarmente raro in natura. Le più recenti analisi stimano che fino ad oggi siano state estratte circa 210.000 tonnellate di oro. Per farti capire quanto poco sia, se costruissimo un blocco con tutto l’oro estratto fino ad oggi otterremmo un cubo delle dimensioni di 22 metri per lato. Ci starebbe tutto in una piccola piazza di paese.

Quello che è interessante è che annualmente vengono estratte tra 3.500 e 4.500 tonnellate. La produzione annua (Flow) rispetto alla quantità già estratta (Stock) rappresenta circa il 2%. Questo rapporto, chiamato Stock-to-Flow è proprio quello che caratterizza la scarsità dell’oro ed è il più basso che esista tra tutti i materiali presenti in natura.

Tutto ciò garantisce che il prezzo dell’oro sia sempre abbastanza alto da superare i costi di produzione che sono enormi.

Senza questa proprietà fondamentale l’oro non sarebbe mai diventato quello che è e non sarebbe così prezioso.

Durabilità

Un’altra proprietà dell’oro è quella di essere indistruttibile. Non arrugginisce, non si deteriora, ha temperature di ebollizione elevatissime (quasi 3.000 gradi) e quindi praticamente non evapora.

Pertanto, dura nel tempo sostanzialmente intatto, come dimostrano i tantissimi oggetti in oro realizzati millenni fa ed arrivati fino ad oggi perfettamente integri (statue, maschere, gioielli, ecc.).

Questa sua caratteristica, unita alla scarsità, ha reso da sempre l’oro la riserva di valore per definizione.

Duttilità

Nonostante l’oro sia praticamente indistruttibile è allo stesso tempo estremamente duttile e malleabile. Se viene posto tra pelli di animali o cuoio e battuto con il martello, può essere ridotto a una lamina che può raggiungere una sottigliezza inferiore addirittura a 0,00008 mm. Questo significa che se 20 grammi di oro (circa 1 cubetto di 1 cm per lato) fossero trasformati in un filamento di circa 5 micron, questo filamento sarebbe lungo più di 50 chilometri.

Non a caso la sua duttilità e malleabilità, unitamente alla scarsità e alla sostanziale indistruttibilità, hanno reso l’oro il materiale più adatto per trasferire valore nello spazio e nel tempo.

Tuttavia, c’è un’ altra caratteristica che rende l’oro così prezioso e ne mantiene il prezzo sempre abbastanza elevato: la difficoltà di estrazione.

La difficoltà di estrazione dell’oro

Oltre alle proprietà chimico-fisiche che lo rendono unico, è impossibile sintetizzare l’oro a partire da altri elementi chimici. Pertanto, l’unico modo per produrre oro è quello di estrarlo dal minerale grezzo, estremamente raro nella crosta terrestre.

Ma l’attività di estrazione, a parte essere insalubre e faticosa, è molto costosa. Pertanto, l’offerta di oro non può aumentare di molto, né rispetto al passato né rispetto alla quantità già estratta. E questo nemmeno se il prezzo dovesse salire sensibilmente, data la difficoltà di estrazione e la sua scarsità.

Questa caratteristica, assieme alle sue proprietà chimico-fisiche, rende l’oro così prezioso da considerarlo la riserva di valore per eccellenza, in quanto il suo prezzo dipende solo dalla domanda, considerata l’offerta molto limitata.

Ti faccio un esempio per farti comprendere meglio cosa vuol dire tutto questo.

Supponi che un miliardario voglia accantonare la sua ricchezza in rame. Non appena inizierà ad acquistare quantità ingenti di rame, il relativo prezzo crescerà rapidamente. E man mano che il prezzo crescerà, altri soggetti vorranno acquistare rame come strumento per conservare la loro ricchezza, facendo aumentare ulteriormente il prezzo.

Questo è un fatto positivo per il nostro miliardario, perché il suo patrimonio accantonato in rame crescerà rapidamente di valore.

Ma non appena il prezzo passerà un certo livello, renderà molto più redditizia l’attività di estrazione del rame, peraltro abbondante nel sottosuolo.

Pertanto, molti imprenditori di tutto il mondo destineranno capitali e lavoro all’attività di estrazione del rame. Più il prezzo del rame salirà, più sarà conveniente dirottare risorse verso la sua estrazione e maggiore sarà la quantità prodotta.

L’aumento di quantità prodotta verrà venduta sul mercato fino a soddisfare completamente l’aumento della richiesta che si è verificata.

Ad un certo punto, tuttavia, la domanda dovrà per forza di cose diminuire, perché l’aumento della produzione del rame l’avrà completamente soddisfatta. Di conseguenza, il prezzo smetterà di salire.

A questo punto tutti coloro che hanno acquistato rame sull’onda dell’aumento di prezzo, vorranno vendere a prezzi alti per monetizzare. Ma siccome ora la quantità di rame in circolazione è molto più alta di prima, e l’offerta di chi vuole vendere è enormemente superiore alla domanda di chi acquista (a questo punto solo per usi industriali), il prezzo scenderà rapidamente ai valori precedenti all’acquisto da parte del miliardario. Ciò provocherà perdite ingenti per chi ha acquistato rame a prezzi elevati.

Ecco perché il rame non è una buona riserva di valore.

Questo accade per tutte le materie prime la cui offerta può aumentare di pari passo con la domanda e in cui il rapporto Stock-to-Flow è molto alto. Ovvero, quando la quantità prodotta annualmente è molto alta se rapportata a quella già estratta.

Affinché un bene possa fungere da riserva di valore deve riuscire ad eludere questa trappola. Cioè, deve rendere impossibile l’aumento della quantità prodotta all’aumentare della sua domanda e del suo prezzo. In sostanza, deve apprezzarsi quando richiesto come riserva di valore ma, allo stesso tempo, deve rendere impossibile ai produttori inflazionarne l’offerta, con conseguenti pressioni al ribasso del prezzo.

E’ proprio quello che accade con l’oro, la cui produzione non può essere aumentata più di tanto all’aumentare del prezzo. Pertanto, non ci sarà mai la possibilità di riversare sul mercato una quantità di oro di nuova produzione tale da provocare una riduzione del prezzo. Di conseguenza, il prezzo dell’oro è deciso dalla domanda e dall’offerta di materiale già estratto.

Pensa che nel 2006 il prezzo dell’oro fece registrare un +36%. La produzione annuale nel 2006 fu poco più di 2.300 tonnellate, meno di quella del 2005 e pari a quella del 2007, per un rapporto Stock-to-Flow di appena l’1,54%.

Praticamente, un aumento di prezzo del 36% non provocò nessun incremento nella produzione.

Nessun bene/materiale/elemento attualmente presente sulla faccia della terra possiede tutte queste caratteristiche che lo rendono una così efficace riserva di valore.

Con un’oncia d’oro (circa 29 grammi), 500 anni fa potevi acquistare un ottimo vestito da uomo, cosa che puoi fare ancora oggi. Questo vuol dire che, nonostante siano trascorsi 5 secoli, l’oro si è dimostrata la miglior riserva di valore possibile.

L’oro utilizzato come bene d’investimento

Come ho già ribadito all’inizio, non ritengo l’oro un investimento perché non genera flussi di entrate sottostanti. Di conseguenza, per ottenere un rendimento dal possesso di questo bene occorre rivenderlo ad un prezzo superiore a quello d’acquisto.

Ciò nonostante, l’oro è utilizzato nei portafogli di milioni di investitori e, perciò, è utile andare a vedere come si è comportato in passato anche da questo punto di vista.

Come puoi osservare nel grafico seguente, dal 1975 ad oggi il prezzo dell’oro è decuplicato, fornendo un rendimento medio annuo dell’4,9%. Rettificato per il tasso di inflazione il rendimento è stato dell’1,7% medio annuo.

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Fonte: Dati Aswath Damodaran

In sostanza, negli ultimi 48 anni l’oro ha tenuto il passo dell’inflazione o poco più. Nulla a che vedere con i rendimenti dell’indice S&P 500 che, come puoi osservare nel grafico seguente è cresciuto nello stesso periodo di 40 volte (dividendi inclusi).

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Fonte: Aswath Damodaran / Robert Shiller

In sostanza, nel lungo termine l’oro è un’ottimo store-of-value, ovvero un’ottima riserva di valore. Infatti, consente il trasferimento nel tempo della ricchezza proteggendola dagli effetti dell’inflazione.

Ma, ancora una volta, confermo che non lo vedo come veicolo d’investimento in quanto, tra l’altro, rende molto poco (l’1,7% medio annuo al netto dell’inflazione negli ultimi 48 anni) e con un rischio molto elevato. Difatti, la volatilità media dell’oro nello stesso periodo, misurata dalla deviazione standard, è stata quasi del 24%. Se consideri che lo S&P 500 nello stesso periodo ha reso mediamente l’11,7% all’anno inclusi i dividendi, a fronte di una volatilità del 16%, capirai che non c’è confronto. Maggiore rendimento a fronte di minore volatilità (rischio).

Descritte le caratteristiche che rendono l’oro un bene così prezioso e un’ottima riserva di valore, andiamo ad approfondire le caratteristiche del bitcoin per capire se possa davvero diventare l’equivalente dell’oro digitale.

Le caratteristiche del bitcoin

Abbiamo visto in precedenza che l’oro possiede proprietà che lo hanno reso così prezioso e, in sostanza, la riserva di valore più conosciuta e antica al mondo.

Proviamo a vedere se anche il bitcoin possiede le medesime proprietà.

Scarsità

Sin dal momento della comparsa del bitcoin nel 2009, Satoshi Nakamoto, persona o gruppo di persone tutt’ora anonimo che ha creato e implementato il progetto, ha previsto nel suo algoritmo il numero massimo di bitcoin che potevano essere coniati.

Questa quantità massima è fissata in 21.000.000 di bitcoin. Non uno di più e non uno di meno.

A sua volta ogni bitcoin può essere diviso in 100.000.000 di unità chiamate satoshi. Questo rende il bitcoin altamente commerciabile in modo scalare.

Ad oggi sono stati coniati circa 19.500.000 bitcoin. Questo significa che dovranno essere coniati ancora poco meno di 1.500.000 di monete. Ogni 4 anni (periodo di halving) la creazione di bitcoin si dimezza e, con questo ritmo, l’ultimo bitcoin sarà coniato intorno al 2140.

Attualmente vengono estratti circa 328.000 bitcoin in un anno e così sarà fino alla metà del 2025, momento in cui si dimezzerà ulteriormente la quantità dei bitcoin creati nei successivi 4 anni. Così prevede fin dall’origine il suo algoritmo.

Se andiamo a verificare lo Stock-to-Flow del bitcoin, ovvero la quantità coniata annualmente rispetto alla quantità già estratta, ci accorgiamo che è inferiore addirittura a quello dell’oro. 2% per l’oro contro 1,7% per il bitcoin. E dal 2025 fino al 2029 lo Stock-to-Flow del bitcoin si dimezzerà ulteriormente, passando allo 0,85%.

Come per l’oro, il basso rapporto Stock-to-Flow del bitcoin garantisce che il suo prezzo sia sempre abbastanza alto da superare i costi di estrazione che, come vedremo, sono enormi.

Pertanto, per quello che è l’algortimo di creazione dei bitcoin e per il progetto portato avanti sin dalla sua nascita, il bitcoin è un bene digitale estremamente scarso. Più dell’oro, numeri alla mano.

Indistruttibilità

Essendo il bitcoin un bene digitale non può, evidentemente, andare incontro a deterioramento o distruzione fisica.

Tuttavia, se estendiamo il concetto del deterioramento ad un livello digitale, dovremmo andare a verificare se l’algoritmo originale voluto da Nakamoto possa essere in qualche modo corrotto o modificato. Se fosse possibile cambiare questo algoritmo facendo venire meno le proprietà principali di bitcoin, allora ci troveremmo di fronte ad un bene digitale non indistruttibile e quindi non sovrapponibile all’oro da quel punto di vista.

La natura di Bitcoin è tale che, una volta rilasciata la versione 0.1, il nucleo centrale del progetto è stato scolpito per sempre nella pietra.

Satoshi Nakamoto, 17/06/2010

Se quanto affermato da Nakamoto fosse vero, allora saremmo in presenza di un bene indistruttibile dal punto di vista digitale.

In effetti, Bitcoin fino ad oggi ha resistito a qualsiasi tentativo di cambiamento o alterazione delle sue caratteristiche, dimostrando un livello di resilienza estremamente elevato.

Resistenza agli attacchi interni

Il funzionamento di Bitcoin si basa sul consenso distribuito che, oltre a garantirne il funzionamento e l’integrità, lo rende praticamente immune ai tentativi di alterazione da parte di singoli soggetti facenti parte della rete (nodi).

In sostanza, basandosi sul consenso distribuito tra milioni di nodi, Bitcoin non può essere controllato da nessuno in particolare e l’unica opzione disponibile è utilizzarlo così come è stato progettato all’origine o non utilizzarlo affatto.

Questa sostanziale immutabilità di bitcoin non è una caratteristica intrinseca del software, di per se modificabile senza particolari problemi.

L’immutabilità è piuttosto radicata negli incentivi economici e deriva dall’impossibilità di far accettare a ciascuno dei milioni di nodi che formano la rete eventuali modifiche al software che ne alterino i parametri originari.

Lo vedremo meglio tra un attimo.

Il software di bitcoin è open source, sicché tutti possono verificarne il funzionamento. Pertanto, nessuno può alterarlo senza che gli altri ne vengano a conoscenza e scartino qualsiasi tipo di modifica non condivisa ed accettata dalla maggioranza dei nodi della rete.

Non esiste un’autorità centrale che determini l’evoluzione del software Bitcoin e nessun singolo programmatore è in grado di imporre alcun cambiamento. La chiave per portare a termine una modifica che venga adottata da tutta la comunità si è finora dimostra essere una sola: l’aderenza ai parametri originari del software.

L’unico modo di corrompere o modificare radicalmente il software, e quindi deviare il progetto dai parametri originari previsti da Nakamoto, sarebbe quello di coordinare un attacco simultaneo da parte del 51% dei nodi della rete. Ma il problema nel portare avanti un simile attacco sarebbe quello di coordinare milioni di soggetti che hanno interessi contrastanti tra di loro e che hanno a cuore solo la difesa del proprio benessere economico. Pertanto, esiste un incentivo economico a legarsi al principio dell’immutabilità che blocca qualsiasi spinta ad allontanarsi dai parametri del progetto originario.

L’esempio più classico è legato alla modifica del numero massimo di bitcoin che possono essere coniati. Nessuno dei partecipanti alla rete avrebbe interesse all’aumento di questo numero perché ciò significherebbe far diminuire il valore dei bitcoin già esistenti. E quindi anche di quelli posseduti da ciascuno di loro. E ancor più difficile sarebbe coordinare in tal senso una maggioranza del 51%, che vorrebbe dire mettere d’accordo milioni di nodi. Impossibile.

Perciò, se un attacco alle regole di bitcoin è praticamente impossibile che possa venire dall’interno, per via della presenza di incentivi economici verso lo status-quo, è possibile, invece, che un simile tentativo provenga dall’esterno?

Resistenza agli attacchi esterni

La preoccupazione più frequente sulla resistenza di bitcoin, da parte di chi non conosce a fondo l’argomento, è che il codice possa essere in qualche modo hackerato. Ma in realtà il codice sorgente del software è open-source e quindi chiunque può verificare che non sia stato corrotto e nel caso correggerlo.

Oltretutto, un tentativo esterno di modificare le regole verrebbe bloccato dalla rete in quanto non riconosciuto e condiviso.

Il fatto stesso che il software e la blockchain, che registra tutte le transazioni, risiedano in maniera ridondante su milioni di nodi in tutto il mondo, rende facilmente comprensibile come un tentativo di hackeraggio sia destinato evidentemente all’insuccesso.

Proprio per superare l’eventuale disonestà dei singoli nodi, si impone un elevato costo per poter inserire transazioni nel registro comune. Costo misurato in termini di potenza di calcolo e di energia consumata.

In tal modo chi volesse inserire una transazione fraudolenta dovrebbe innanzitutto sostenere un costo elevatissimo. Ma siccome la verifica delle transazioni iscritte nel registro è molto semplice da eseguire, il tentativo fraudolento sarebbe smascherato in pochissimo tempo. In questo modo il nodo disonesto subirebbe un danno economico molto elevato.

Pertanto, gli incentivi economici di bitcoin sono un ostacolo insuperabile contro la disonestà dei nodi. E questo rende bitcoin sostanzialmente immune da tentativi di hackeraggio esterno che sfrutti nodi disonesti.

Bitcoin è un protocollo software che potrebbe essere eseguito su uno qualsiasi dei pc presenti al mondo. Conseguentemente, qualunque pc può collegarsi alla rete ed eseguire il software di bitcoin. Quindi, non esiste vulnerabilità infrastrutturale del sistema.

Per generare una situazione in cui nessun utente bitcoin possa connettersi ad altri utenti sarebbe necessario produrre un danno assolutamente devastante alla rete internet mondiale. Ma capisci da te che questo scenario, oltre ad essere estremamente difficile da realizzare e sostanzialmente apocalittico, porterebbe tutti ad avere ben altre preoccupazioni che non i soldi, l’oro o i bitcoin.

Bitcoin si basa sulla crittografia. Perciò, potrebbe essere seriamente danneggiato se un computer molto potente riuscisse a violare l’algoritmo di crittografia su cui bitcoin si fonda, l’SHA-256. Anche se non distruggerebbe la rete, minerebbe irrimediabilmente la fiducia degli utenti in bitcoin e ne decreterebbe sostanzialmente la sua fine.

Ma ad oggi non esistono computer così potenti da violare l’algoritmo SHA-256. Forse un giorno i computer quantistici, che saranno estremamente più potenti di qualsiasi altro computer mai costruito finora, riusciranno a violare questo algoritmo.

Ma prima che questa tecnologia sia davvero realmente utilizzabile si prevede passino almeno altri 4 o 5 decenni. Ma gli incentivi economici di bitcoin stanno già spingendo i nodi della rete verso il passaggio ad un algoritmo crittografico ancora più forte e resistente di quello attuale. E questo vorrebbe dire allontanare ulteriormente ed enormemente il momento in cui verrà implementata una tecnologia in grado di violarlo.

In definitiva, i tentativi di distruggere bitcoin dall’esterno hanno probabilità estremamente basse di successo.

Questo rende, anche in prospettiva, bitcoin inviolabile e immodificabile sia dall’interno e sia dall’esterno.

Bitcoin, in definitiva, è incorruttibile e immodificabile nelle sue proprietà fondamentali.

La difficoltà di estrazione del bitcoin

Chiunque si unisca alla rete bitcoin genera una serie di indirizzi pubblici e chiavi private che rappresentano l’equivalente degli IBAN e delle password.

Quando un partecipante alla rete effettua una transazione, definisce un’operazione in cui invia un certo numero di monete dal suo indirizzo pubblico ad un altro indirizzo pubblico.

Le transazioni per essere convalidate e rese immutabili devono essere iscritte nel registro pubblico delle transazioni, la blockchain.

Ma per essere iscritte nella blockchain, le transazioni devono essere prima notificate a tutti i nodi della rete e poi convalidate da una speciale categoria di nodi chiamati miners.

Il compito dei miners, minatori nella traduzione letterale del termine, è quello di convalidare blocchi di transazioni prima di iscriverli in coda alla blockchain. Ovvero, fanno dei controlli sull’effettiva disponibilità di chi effettua il pagamento e verificano che quella disponibilità non sia già stata spesa precedentemente. Dando, pertanto, soluzione anche all’ostacolo principale della fiducia in bitcoin e nella rete, ovvero quello della doppia spesa.

Per fare quest’attività e iscrivere finalmente le transazioni in coda alla blockchain, i miners devono risolvere un problema matematico molto complesso che si definisce Proof-of-Work, o prova di lavoro tradotto brutalmente. Ed è il sistema alla base della convalida delle transazioni e della fiducia in bitcoin.

Il miner che risolve per primo questo complesso problema matematico ha il diritto di iscrivere in coda alla blockchain le transazioni del blocco che ha risolto.

Come ricompensa per questa attività il miner riceve una certa quantità di bitcoin freschi di conio. Ecco perché vengono chiamati miners, o minatori. Perché è come se minassero le monete, proprio come fanno i minatori con l’oro.

Pertanto, esiste una notevole competizione tra i miners per la risoluzione di questi complessi problemi matematici che danno diritto di registrare le transazioni sulla blockchain e ricevere la ricompensa.

La quantità di monete di nuova estrazione che ricompensano i miners ad ogni risoluzione di un blocco, come detto in precedenza, si dimezza ogni quattro anni.

La Proof-of-Work

La soluzione di questo complessissimo problema matematico è chiamato Proof-of-Work (PoW) e rende, pertanto, estremamente difficile coniare nuove monete. Infatti, occorre una potenza di calcolo estremamente elevata e crescente al crescere della competizione e, in genere, al crescere della rete e delle transazioni.

Oltretutto, la PoW è molto costosa per i miners. Infatti, oltre agli investimenti in hardware che garantiscano la potenza di calcolo necessaria, eseguire la PoW richiede un consumo di energia elevatissimo per risolvere il problema matematico che da il diritto di iscrivere le transazioni in coda alla blockchain.

Proprio per questo motivo la PoW garantisce l’onestà dei miners. Dal momento che verificare la validità delle transazioni registrate dai miners è estremamente semplice, il miner non avrà alcun interesse a iscrivere transazioni non valide. Infatti, queste sarebbero subito scoperte dagli altri nodi della rete e, in sostanza, invalidate. Pertanto, il miner disonesto avrebbe sostenuto spese elevatissime per sostenere la PoW e registrare le transazioni per poi vedersele annullate. Un immane spreco di denaro.

Grazie a questo forte incentivo all’onestà, la blockchain di bitcoin non ha mai subito attacchi in termini di doppia spesa su una transazione confermata. Dimostrandosi in questa maniera incorruttibile.

Ma il costo elevato della PoW serve anche affinché l’estrazione di bitcoin sia sempre costosa in termini di energia spesa. Tutto ciò per garantire che il bitcoin mantenga sempre un certo valore intrinseco dato dal costo dell’energia consumata per estrarlo.

Il bitcoin come investimento

Come già affermato più volte in precedenza, non ritengo bitcoin, al pari dell’oro, un veicolo di investimento per i motivi già spiegati.

Oltretutto, a differenza dell’oro, la storia del bitcoin è recentissima, appena 14 anni ad oggi. Pertanto, qualsiasi tentativo di analizzare la serie storica dei rendimenti è priva di qualsivoglia valenza statistica.

In ogni caso, come avviene per l’oro, può essere utile inserire bitcoin nei portafogli per il lungo termine come strumento di diversificazione. Sempre nelle giuste proporzioni rispetto al totale del portafoglio e del proprio patrimonio.

Dal grafico seguente puoi facilmente osservare come bitcoin, nonostante l’ultimo crollo del 70% dai massimi di novembre 2021, è cresciuto del 134% medio annuo dalla sua nascita fino ad oggi.

In termini reali, depurati quindi dall’inflazione, il rendimento è stato del 127% annuo.

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Fonte: Robert Shiller

La performance è stata strepitosa anche se rapportata a quella dello S&P 500 che al confronto, nello stesso periodo, è solo una linea leggermente in crescita.

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Da notare che il grafico è in scala logaritmica. Questo significa che in scala normale la linea che rappresenta lo S&P 500 sarebbe completamente schiacciata sull’asse orizzontale!

Tutto questo, però, con una volatilità degna delle montagne russe più spaventose. E questo deve già farti capire perché bitcoin può al massimo rappresentare una frazione molto piccola del tuo patrimonio.

Bitcoin potrà diventare l’oro digitale?

Leggendo il post ti sarai fatto già una tua opinione sul tema.

Ma andiamo a fare un riepilogo e a vedere da vicino se davvero il bitcoin ha tutte le carte in regola per essere considerato l’oro digitale.

L’oro e il bitcoin sono entrambe risorse scarse. L’oro perché è un elemento molto raro in natura e il bitcoin perché il suo algoritmo ne fissa il numero massimo minabile. E nessuno dei membri della rete ha interesse a che quest’ultimo venga aumentato, in quanto ciò significherebbe ridurre il valore delle monete già emesse.

Entrambi, oro e bitcoin, hanno un rapporto Stock-to-Flow molto basso, con il bitcoin addirittura in dimezzamento ogni ciclo di quattro anni. Questo significa che il valore di questi beni si riduce pochissimo ogni anno a seguito della nuova quantità immessa annualmente (inflazione).

Oro e bitcoin sono fondamentalmente indistruttibili. L’oro fisicamente, perché non arrugginisce e non si deteriora con il tempo. Il bitcoin digitalmente, perché ha un algoritmo che nessuno dei partecipanti alla rete ha interesse a cambiare per via degli incentivi economici che fanno preferire lo status-quo. Ed è immune anche da attacchi esterni per via dell’impossibilità con le attuali tecnologie e con quelle che sono allo studio, di decrittare l’algoritmo crittografico. Oltretutto, il bitcoin è immune da hacking e da qualsiasi altro tentativo di attacco esterno se non quello di distruggere completamente la rete internet. Cosa evidentemente impossibile per come intendiamo oggi il mondo.

Sul fatto della duttilità non possiamo evidentemente fare paragoni essendo il concetto di duttilità privo di senso per un bene immateriale.

Quanto alla difficoltà di estrazione, quella dell’oro è garantita dalla scarsità in natura e dall’elevato costo di estrazione che non rende, peraltro, profittevole l’attività di estrazione sotto un determinato prezzo.

La difficoltà di estrazione del bitcoin risiede, invece, nel processo di Proof-of-Work necessario per la validazione delle transazioni, che richiede immensa potenza di calcolo, oltre che un notevole consumo di energia elettrica. Pertanto, sotto un certo prezzo del bitcoin, l’attività di estrazione non è più profittevole.

Dal punto di vista dei rendimenti l’oro ha incrementato di poco nel lungo periodo il proprio valore in termini reali, ovvero corretti per l’inflazione. Quindi si è dimostrata un’ottima riserva di valore nel lungo termine. Nel breve termine invece non sempre è riuscito a garantire questo servizio. Il bitcoin ha fatto addirittura molto meglio, anche se la serie storica è di soli 13 anni.

La mia conclusione è che le caratteristiche digitali del bitcoin siano perfettamente sovrapponibili a quelle dell’oro fisico. Pertanto, secondo il mio parere, il bitcoin ha tutte le caratteristiche per diventare una riserva di valore come l’oro. Almeno nel lungo termine.

L’unico ostacolo che bitcoin dovrà superare per poter davvero diventare l’oro digitale è rappresentato dalla capacità di conquistarsi la fiducia delle persone e dei mercati. E non è una cosa semplice o scontata.

L’oro ha 6.000 anni di storia alle spalle in cui ha superato prove durissime che gli hanno consentito di guadagnarsi la fiducia e la reputazione di cui gode oggi, fino a diventare la riserva di valore del mondo. Il bitcoin è giovanissimo e non si può assolutamente paragonare all’oro dal punto di vista di fiducia e reputazione, al contrario di quanto affermano alcuni massimalisti di bitcoin.

Questo, secondo me, rappresenta l’unico punto interrogativo sulla questione.

Qualora le persone iniziassero a nutrire sempre più fiducia in questo strumento digitale allora il bitcoin ha tutte le caratteristiche per diventare una riserva di valore al pari e più dell’oro.

Viceversa, pur avendo tutte le carte in regola, non potrà mai avvicinarsi a quello che l’oro rappresenta per il mondo intero.

Grazie per avermi letto e ti aspetto al prossimo articolo!

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